This entry was posted on lunedì, luglio 25th, 2016 at 08:00 and is filed under Pubblica Amministrazione. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.
L’approvazione in secondo esame preliminare da parte del Consiglio dei ministri è giunta la scorsa settimana a suggellare quello che si configura come uno dei decreti attuativi più delicati del complessivo pacchetto di (11) decreti che conferiranno forma plastica al grande progetto di riforma della Pubblica Amministrazione nel nostro Paese. Si tratta del decreto legislativo relativo al testo unico in materia di società a partecipazione pubblica: il testo stabilisce e definisce, in estrema sintesi, la chiusura (o l’alienazione) delle società partecipate troppo piccole (ad esempio società fuori dai servizi pubblici locali che che in 4 anni su 5 abbiano subito perdite superiori al 5% del fatturato), di quelle con più amministratori che dipendenti e, in generale, delle aziende che non rientrano nei servizi pubblici locali o negli altri settori di attività consentiti per l’intervento della Pubblica Amministrazione.
A questo punto la scansione dei tempi è piuttosto serrata: ci sono a disposizione sei mesi di tempo per gli enti proprietari per scrivere i piani di razionalizzazione con l’alienazione obbligatoria delle partecipate fuori regola. Stesso lasso di tempo per le società controllate dalla PA per effettuare la ricognizione del personale ed indicare con precisione i propri esuberi. Questo infatti è il punto critico di tale decreto attuativo.
Si stima che in Italia vi siano 5mila società partecipate in cui sono impiegati ben 501mila lavoratori (dati che affiorano dalle rilevazioni effettuate da Cottarelli nel 2014 ai tempi del primo tentativo abortito di “spending review“). Entro gennaio 2017 dovrebbero giungere le prime indicazioni concrete sugli effetti della riforma. Il vero nodo, come appena affermato, è proprio quello della necessità di sfoltimento di personale che segue in maniera consequenziale la chiusura di un rilevante numero di società che non rientrano nei nuovi parametri stabiliti dal Governo. In questo senso emerge una data obiettivo: il 30 giugno del 2018. Superata quella scadenza, le società potranno ricominciare ad assumere secondo le procedure ordinarie, senza più l’obbligo di dover pescare dagli elenchi degli esuberi tranne che per quel che riguarda profili professionali specifici e assenti fra le “eccedenze”.
Per il meccanismo di riassorbimento degli esuberi che verranno inevitabilmente a crearsi, non verrà replicato l’elenco nazionale degli esuberi gestito dalla Funzione pubblica e già sperimentato per il riordino di Province e Città metropolitane: in questo senso il “pianeta partecipate” si configura come molto più variegato e non riconducile ad omogeneità immediata. Il primo “step” sarà quello relativo alla “ricognizione del personale in servizio”, che le società a controllo pubblico devono effettuare entro il termine di mesi per individuare le “eccedenze”: a questo punto il personale in eccesso verrà affidato “in primis” alle Regioni, le quali dovranno favorire la mobilità incrociando la domanda e l’offerta di lavoro sul territorio con gli strumenti che saranno individuati da un decreto successivo (a carico del Ministero dell’economia). Dopo ulteriori sei mesi, sarà il turno dell’Agenzia nazionale per il lavoro, la quale dovrà gestire gli esuberi rimasti mediante politiche attive. Le rassicurazioni in questo caso convergono nel seguente concetto espresso in evidenza nel testo del decreto: al personale in esubero potranno essere applicati tutti gli ammortizzatori sociali previsti dalla riforma del lavoro e dalle normative regionali.
Caso specifico è quello rappresentato dal personale che in origine era stato assunto dalla Pubblica Amministrazione ed è successivamente passato a un’azienda partecipata in seguito all’esternalizzazione del servizio. Qualora l’attività venga riportata all’interno dell’ente (ad esempio perché la società strumentale non risponde ai parametri della riforma) tali dipendenti possono usufruire di una corsia preferenziale per la riassunzione nella Pubblica Amministrazione. Questa tuttavia non può in alcun modo derogare ai vincoli generali su turnover e spesa.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Roberta Buscherini