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In Italia erano le 8.45. A Nassiriya le 10.45. un camion forza il posto di blocco e si schianta contro una palazzo di tre piani, sede del dipartimento logistico vicino al Msu (Multinational Specialized Unit). Dietro il mezzo pesante c’è anche un’auto imbottita con 300 chili di esplosivo, guidata da un kamikaze. 12 carabinieri, quattro soldati dell’esercito e due civili italiani, nove civili iracheni, persero la vita. Una ventina tra militari e civili, rimasero feriti.
Era il 12 novembre del 2003 e quella mattanza passò alla storia come la strage di Nassiriya. un episodio tragico che ci ricorda a dieci anni di distanza tutti gli operatori civili e militari che operano nelle aree di crisi, zone del mondo tra le più pericolose di sempre, quelle persone che esprimono la necessità d uno sforzo unitario nella direzione della sicurezza e della stabilità internazionale.
E’ un peccato davvero che in un momento di profonda commemorazione come quello in nome della vile strage di Nassiriya, non si riesca a concentrarsi sulle vittime, dando spazio solo alle riflessioni e ai ricordi dei 19 caduti che non ci sono più. È un peccato che si inquini il ricordo e si sporchi questo anniversario. E l’amarezza si fa più acuta se a farlo è addirittura un esponente politico.
Le parole dell’Onorevole Corda, sostenitore nel M5S, certamente acutizzate nel significato dal clima di esasperazione che si respira tra i banchi della politica italiana, sono indubbiamente state fuori luogo e terreno facile per fraintendimenti. Per questo, le scuse hanno avuto un suono “d’obbligo” più che di reale pentimento: “non ho fatto l’elogio del kamikaze ma ho al contrario denunciato l’orribile ideologia che sfruttando la disperazione e l’ignoranza lo ha portato a trasformarsi in una bomba umana. […] Detto questo, se le mie parole hanno soltanto minimamente offeso i familiari delle vittime di Nassiriya, chiedo scusa a loro, perché questo non era in modo alcuno mia intenzione”.
L’indignazione delle forze armate e dei familiari delle vittime è stata massima e subito espressa con una nota stampa dal Cocer, attraverso le parole dei suoi delegati del reparto Carabinieri, che quel maledetto giorno persero dei colleghi, e che hanno voluto prendere le distanze da quelle dichiarazioni che “macchiano il nobile sacrificio di colleghi che hanno dato la vita per la Patria e per un futuro migliore, in una terra lontana migliaia di chilometri dai loro affetti”.
Ma la polemica non si ferma solo alla politica. Anche Maria Cimino, mamma di Emanuele Ferraro, uno dei 19 militari uccisi, si dice piena di rabbia per un riconoscimento militare mancato che invece riteneva doveroso. E in effetti lo era.
Nonostante la loro situazione non sia rosea né accenni a migliorare, anche i due fucilieri italiani del battaglione San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, costretti in India da molti mesi ormai, con la pesante accusa di aver ucciso due pescatori indiani scambiandoli per pirati, hanno voluto prendere parte alla commemorazione dei loro colleghi vittime dell’atto terroristico di Nassiriya con un messaggio chiaro: “con il tempo i ricordi si affievoliscono ma è sempre vivo nei nostri cuori il Vostro sacrificio ed i Vostri nomi resteranno indelebili nella nostra memoria”. Un cordoglio dal valore profondo e sentito. Quasi un grido che ci ricorda tra le righe che ci sono anche loro, vittime come gli altri dei meccanismi politici per i quali combattono, seppure ancora in vita.
Fonte: grnet / statoquotidiano / panorama / ilpost / tgcom24 / pyrosonline