This entry was posted on lunedì, dicembre 28th, 2015 at 07:57 and is filed under Dipendenti Statali. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.
La Riforma della Pubblica Amministrazione giunge finalmente alla sua fase concreta, ovverosia quella conclusiva a livello operativo: si sta aprendo infatti la porta al varo definitivo dei primi decreti attuativi (previsti inizialmente per il Consiglio dei Ministri del 23 dicembre, ma ora slittati alla prima metà di gennaio), gli strumenti normativi che definiranno in concreto i margini disciplinari relativi al grande progetto di cambiamento della Pubblica Amministrazione nel nostro paese. Un cammino di riforma, quello relativo alla PA, che ha attraversato aspre e numerose difficoltà: modificare un sistema che da più di 70 anni fornisce determinate garanzie si configura senza dubbio come un compito improbo. Ma il Governo Renzi ha effettuato un lavoro davvero efficace?
Come annunciato dal ministro Madia (responsabile del dicastero che sovrintende alla Pubblica Amministrazione) al quotidiano Repubblica prima di Natale, l’insieme dei decreti (che dovrebbero essere circa una ventina) sarà approvato nell’arco del primo semestre del 2016. Ma affinché la riforma funzioni davvero diventerà determinante il ruolo dei dipendenti pubblici: “È finita l’epoca della retorica dei fannulloni nella pubblica amministrazione. Il motore della riforma ora sono i lavoratori pubblici“, ha spiegato il ministro del Governo Renzi.
Ma i termini della questione non si allineano in maniera così nitida: i contratti pubblici sono congelati dal 2009 per le scelte dei governi che si sono succeduti, stretti tutti dall’emergenza finanziaria, e i 300 milioni di euro stanziati nella Legge di Stabilità appena approvata non permetteranno incrementi retributivi superiore ai 10 euro mensili. Una cifra troppo esigua (più che un aumento stipendiale, appaiono alla stregua di una “mancia” che non può di certo soddisfare i lavoratori e chi li rappresenta) per motivare nuovamente in maniera efficace i 3,3 milioni di lavoratori pubblici (che in media risultano anche tra i più anziani nell’orizzonte europeo). Nel mese di gennaio la trattativa dovrebbe farsi serrata per poi giungere all’intesa nel giro di poche settimane: solo a quel punto si passerà all’effettivo rinnovo dei contratti.
Prima, tuttavia, i sindacati insieme all’Aran dovranno ridefinire i comparti contrattuali: la riorganizzazione dei comparti del pubblico impiego dovrebbe infatti condurre a ridurre gli attuali 11 comparti a 4, ovverosia sanità, enti locali, amministrazioni centrali e scuola. In questo modo verrebbe superata la posizione del Governo che puntava ad un’ulteriore riduzione a 3 comparti.
Gli ulteriori decreti attuativi della riforma della Pubblica Amministrazione andranno a toccare la questione dei licenziamenti, con particolare attenzione alla non applicazione del nuovo articolo 18 nel pubblico impiego. Il ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia ha ribadito in questo senso a Repubblica che il settore della Pubblica Amministrazione non può essere paragonato a quello privato: “Se introducessimo il principio del Jobs Act nella pubblica amministrazione faremmo un doppio danno alla collettività. Perché se il licenziamento di un lavoratore pubblico che viene pagato con risorse pubbliche, fosse riconosciuto viziato, si dovrebbe pagare per l’ingiusto licenziamento e oltretutto si dovrebbe fare un concorso per assumerne un altro al suo posto”.