This entry was posted on lunedì, maggio 23rd, 2016 at 07:37 and is filed under Esercito Italiano. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.
Tutto sotto silenzio, nessuna pubblicità. Poca informazione. Nulla è cambiato con gli anni e con le sentenze. Di condanna, s’intende.
Il tema è quello scomodo, brutto, indegno dell’uranio impoverito. Il protagonista è Salvatore Vacca, fante del 151° Reggimento della Brigata Sassari, morto a 23 anni per una leucemia dovuta agli effetti dell’uranio impoverito, con il quale era venuto a contatto durante la missione in Bosnia.
Ci sono voluti qualcosa come 16 anni affinché la Corte d’appello di Roma condannasse il ministero della difesa per omicidio colposo. Finalmente la sentenza è stata resa pubblica e quanto riporta non lascia spazio all’interpretazione: “la pericolosità delle sostanze prescinde dalla concentrazione (…) cvi è compatibilità tra il caso dei riferimenti proveniente dalla letteratura scientifica (…) esistenza di collegamento causale tra zona operativa e insorgenza di malattia”.
Frasi che non lasciano dubbi né margini di interpretazione. Lo stato è colpevole. Per Vacca e per tutti quelli che non ce l’hanno fatta. Per Lorenzo Motta e per tutti quelli che hanno sconfitto il male che hanno dovuto imparare a conviverci. Per tutti quelli che, vivi o morti, hanno subìto vessazioni e umiliazioni da chi oggi è stato condannato senza riserve.
La mamma coraggio di Salvatore non poteva che commentare positivamente la sentenza, ma i soldi previsti come risarcimento non daranno indietro un figlio né faranno dimenticare i silenzi, le sofferenze e l’abbandono di tanti anni.
Per Domenico Leggiero, dell’Osservatorio Militare, si tratta “di una sentenza storica, perché conferma la consapevolezza del ministero del pericolo a cui andavano incontro i militari in missione in quelle zone”. Leggiero poi continua nel commento a questa sentenza: “è importante perché fissa dei principi fondamentali: primo la colpa del ministero della Difesa e secondo la distinzione che c’è tra indennizzo e risarcimento. La madre infatti aveva già avuto un indennizzo per danno patrimoniale, mentre ora i giudici attestano che da parte del ministero c’è stato un danno causato dall’inadempienza di misure di sicurezza previste per il militare. È una sentenza unica nel suo genere da questo punto di vista. Se si parla di omicidio colposo di un militare morto, se parliamo di 333 vittime cosa è, una strage? e perché ancora non si fa nulla? il ministro Pinotti ora non potrà ignorare quello che emerge dalla sentenza”.
E infatti per i prossimi giorni è prevista un’audizione alla commissione uranio, nella quale ci si aspetta che il ministro Pinotti prenda atto della sentenza e si esprima finalmente in modo chiaro sul tema.
Se lo stato di fatto fino ad oggi ha voluto ignorare il numero di soldati, vittime in vita o no, del suo scellerato comportamento negli anni passati, di certo non potrà ignorare ancora a lungo le sentenze di condanna a suo carico.
Siamo ormai infatti a quota 47. E questa ultima sentenza, come abbiamo già detto, ha un’importanza maggiore delle altre e potrebbe avere ripercussioni oltre che nella commissione parlamentare, anche in Europa. Potrebbe addirittura essere il primo passo verso la chiusura definitiva di questo increscioso capitolo di storia italiana.
Un capitolo buio, sporco. Dal quale le istituzioni escono con le ossa rotte e molta meno credibilità. Quella credibilità che potrebbero almeno in parte recuperare se solo ammettessero le loro responsabilità di fronte alle vittime. La gravità del loro operato non sarebbe considerata minore, ma si ripulirebbero un po’ dal fango che hanno addosso. Ogni sentenza, sempre un po’ di più.
Fonte: rainews / repubblica
Valentina stipa